La Caffettiera del masochista è un processo al cattivo design, condotto da Donald Norman, uno dei principali esponenti del cognitivismo contemporaneo, uscito quando ancora l’ergonomia cognitiva non godeva di molta visibilità ed era limitata alle sedie confortevoli, oppure era patrimonio di laboratori di ricerca che muovevano i primi timidi passi nel mondo dell’interaction design.

In La Caffetteria del Masochista Donald Norman descrive i frequentissimi errori che ciascuno di noi commette nell’usare gli oggetti che ci circondano. L’autore però sostiene che la causa del rapporto a volte difficoltoso tra l’uomo e gli oggetti molto spesso non è una sorta di incapacità da parte dell’utilizzatore, ma una progettazione poco coerente con il funzionamento della mente umana.
L’autore fa notare come vi sia spesso un enorme scarto tra il modo di “funzionare” della nostra mente e le capacità richieste per usare gli oggetti e ci accompagna lungo un percorso di errori che tutti noi commettiamo nell’uso di oggetti spesso banali come un telefono o un elettrodomestico. E per ogni oggetto, per ogni errore, Norman ci dimostra come la responsabilità sia invece imputabile a un cattivo design.
Da questa critica al design l’autore muove per descrivere i meccanismi di funzionamento della mente umana, in particolare il modello connessionista, per andare poi ad isolare e descrivere dei principi che dovrebbero essere alla base del buon design, ed, infine, sottolineare delle forze esterne ai designer che rendono la progettazione particolarmente difficile.

Secondo il modello connessionista, il pensiero procede a sbalzi, è fondamentalmente diverso dalla logica, si basa sull’esperienza passata e, proprio per questo, è intimamente legato alla memoria. Norman, oltre che a cercare di descrivere il funzionamento della mente umana, si preoccupa anche di delineare un modello approssimativo della struttura dell’azione, che si articola in 3 stadi principali:
• la formulazione dello scopo,
• l’esecuzione dell’azione,
• e la sua successiva valutazione.

L’autore, muovendo dalle considerazioni sulle caratteristiche della mente umana e sul modello di strutturazione dell’azione, elabora cinque principi di progettazione che dovrebbero facilitare il rapporto uomo/macchina, eliminando quelle difficoltà “aggiunte”, non legate alla natura del compito da svolgere, ma agli strumenti utilizzati, che invece di aiutare ostacolano l’utilizzatore.

Usare sia la conoscenza presente nel mondo esterno che la conoscenza interiorizzata. Oltre alla conoscenza presente nel mondo esterno (che diminuisce la quantità di cose da ricordare), il progettista si deve rifare anche a inviti funzionali forniti dagli oggetti stessi, che trasmettono messaggi circa i loro possibili usi, azioni e funzioni (per esempio, una piastra liscia invita a spingere, un contenitore vuoto a riempirlo, ecc.) e deve considerare alcuni vincoli d’uso, che servono, invece a limitare le possibilità di azione di tali oggetti. Tra i vincoli che l’autore evidenzia ci sono i vincoli fisici (per esempio: un grosso perno non può entrare in un foro piccolo); quelli semantici che fanno riferimento alla conoscenza della situazione e del mondo; quelli culturali, per cui ogni cultura ha un insieme di azioni permesse nelle situazioni sociali; ed invine i vncole logici, connessi al mapping naturale, ovvero al rapporto logico tra la disposizione spaziale o funzionale dei componenti e le cose da questi controllate. Il modello concettuale suggerito dall’oggetto deve quindi mediare tra il modello progettuale del progettista e il modello dell’utente.
Rendere visibili le cose. E’ importante in un oggetto rendere visibili le parti, sia sul versante esecutivo di una azione, in modo che gli utenti sappiano sempre cosa fare e come farlo, sia sul versante valutativo, in modo che sia sempre possibile valutare ciò che si è fatto. È importante inoltre rendere visibili gli elementi giusti, altrimenti le persone si potrebbero creare delle spiegazioni false sul funzionamento dell’oggetto.

Semplificare la struttura dei compiti. È importante cercare di ridurre al minimo la necessità di programmare e di risolvere problemi; il progettista deve prestare la massima attenzione ai limiti della memoria a breve e a lungo termine e i limiti dell’attenzione degli utilizzatori. Ciò può anche comportare per il progettista il necessario cambiamento della natura del compito attraverso una sua ristrutturazione più semplice.
Prevedere margini di errore. Il progettista deve partire dal presupposto che qualunque errore è teoricamente possibile, e per questo motivo prevedere sempre un modo per rimediarvi.

In mancanza, meglio standardizzare. Quando un oggetto non può essere progettato senza una certa arbitrarietà l’unica strada percorribile è quella della standardizzazione. Il vantaggio, in questo caso, è che una volta l’utilizzatore ha imparato come si fa, il procedimento rimane sempre quello.
Nonostante la buona volontà dei progettisti, Donald Norman riconosce alcuni vincoli esterni di varia natura che possono compromettere gli sforzi del progettista. In particolare l’autore si riferisce a pressioni di mercato, derivanti dal fatto che i designer spesso lavorano all’interno di aziende; pressioni sociali derivanti dall’appartenenza a determinati gruppi e comunità; e pressioni derivanti dalla professione di designer. Insomma, un grande libro anche per chi si avvicina al design didattico.