8 marzo – Giornata Internazionale della Donna Aboliamo le diseguaglianze di genere nelle tutele sul lavoro

Disuguaglianze delle donne nel riconoscimento delle malattie professionali

Le donne hanno maggiore difficoltà nel farsi riconoscere le malattie professionali rispetto ai colleghi uomini. Le percentuali di riconoscimento sono inferiori del 16% e fino al 70% rispetto agli uomini a seconda delle patologie e delle sedi Inail che trattano il caso. Questi risultati derivano da uno studio degli Open Data Inail condotto sul Portale dedicato pubblicato dalla CIIP-Consulta , limitato alle sole patologie muscolo scheletriche e del sistema nervoso periferico, che rappresentano più dell’80% delle patologie denunciate dai lavoratori dal 2010 al 2020, dunque un arco temporale molto ampio.1

Una disuguaglianza così marcata passa inosservata, senza sollevare una discussione sulle possibili cause di queste differenze e se costituiscano iniquità o, peggio, discriminazioni. Non vogliamo in questa sede avanzare ipotesi, né trarre conclusioni: il fenomeno potrebbe derivare dalle diverse mansioni, dai comparti produttivi o da altri fattori.

Lo scopo è piuttosto riaprire la discussione, proprio in occasione della giornata della donna, analizzando le informazioni in nostro possesso e individuando le informazioni necessarie per poter avanzare nelle conoscenze.

Ciò che è certo è che alcuni luoghi comuni non reggono esaminando la tabella che segue: per le patologie del rachide e dell’arto inferiore, dove le differenze sono più ampie, è possibile pensare che la movimentazione manuale dei carichi riguardi in maggior numero gli uomini, rispetto alle donne, e che il carico di danni al rachide sia più evidente per i primi. Cosa dire però degli altri gruppi di patologie?

1 Questo studio è già stato condotto in passato, si veda Salerno S. Ineguaglianze per genere e per Paese di nascita nel riconoscimento delle malattie professionali in Italia : analisi dalla banca dati statistica Inail (2010-2013). Med Lav. 2018 ; 109 (1) :40-47

La tabella si legge come segue: nel complesso, per ogni 100 denunce di uomini, l’Inail ne riconosce come correlate al lavoro 49, mentre sono ritenute come dovute ad altre cause le rimanenti 51. Nel caso delle donne, ogni 100 denunce di patologie che le lavoratrici ritengono correlate al lavoro, ne sono riconosciute solo 41, il 16% in meno rispetto agli uomini.

Per le patologie del sistema nervoso periferico, ma anche per quelle dell’arto superiore, è difficile pensare a maggiori esposizioni degli uomini rispetto alle donne, semmai il contrario; eppure lo stesso rimane una differenza marcata nelle percentuali di riconoscimento, tanto da far pensare che la differenza non dipenda dalle mansioni, ma da altri fattori che non conosciamo.

Che non si tratti di discriminazione è dimostrato, a nostro giudizio, dalla relativa uniformità con cui il fenomeno si presenta nelle varie regioni, ben sapendo che ognuna “tende” a percentuali di riconoscimento delle malattie estremamente variabile, dal 20% al 65%. Eppure le differenze fra le percentuali di riconoscimento fra uomini e donne sono elevate dappertutto, anche nelle regioni con maggiore “emersione” delle malattie e con le più alte percentuali di riconoscimento, come l’Emilia- Romagna, la Toscana e le Marche2.

Se non si tratta di discriminazione e di iniquità, a cosa bisogna pensare? Fermarsi a queste poche evidenze significa lasciare il campo ai luoghi comuni ai quali si è già accennato. La nostra posizione è che sia necessario e urgente raccogliere nuove informazioni, perché certamente le differenze nascondono iniquità, ma non conosciamo i fattori sottostanti.

2 Si rimanda la Portale della CIIP-Consulta, accessibile dalla home page del sito della CIIP, dove è possibile osservare dettagliatamente queste differenze territoriali.

La prima possibilità è utilizzare il Portale sugli Open Data messo a disposizione da CIIP. Essendo disponibili i dati analitici per ogni singola patologia e ogni singola sede Inail che ha trattato il caso, sono possibili studi locali incrociando i dati non solo per genere, ma anche per età e, in parte, per comparto produttivo. Quest’ultima informazione, che sarebbe preziosissima, è presente purtroppo solo per i casi riconosciuti, rendendo impossibile conoscere l’attività produttiva per i casi non riconosciuti e dunque verificare una disuguaglianza di genere. Tuttavia la valutazione della percentuale di riconoscimento patologia per patologia e sede per sede, può portare a riflessioni utili.

Per esempio sappiamo la ragione per cui in Abruzzo, caso unico, c’è una pressoché totale parità di genere: nella provincia di Chieti è stata riconosciuta una grande quantità di patologie del tunnel carpale alle mogli degli agricoltori, per una serie di ragioni che possono essere approfondite facilmente per chi si occupa di salute dei lavoratori a livello locale. Ecco, adoperando i dati in maniera analoga, sarebbe possibile avviare decine di indagini e approfondimenti per scoprire l’origine delle differenze nel riconoscimento delle malattie professionali in tutti i territori.

Per indagini più sistematiche, e a livello scientifico, sono però necessari dati sul denominatore ad oggi colpevolmente assenti, ciò che è la vera causa alla radice di ogni disuguaglianza, fra cui quella di genere. I dati ISTAT contengono il numero dei lavoratori per genere e età, ma non contemplano le mansioni, che possono essere estremamente diverse all’interno della stessa azienda. Ci sarebbero i dati dei medici competenti, di cui all’Allegato 3B del D. Lgs. 81/08, che contengono le esposizioni ai rischi per genere, ma i dati analitici utili per qualsiasi analisi sono di difficile lettura e poco utilizzati.

I “veri” denominatori esistono e sono in possesso dell’Inail e dell’Inps. L’Inail alimenta l’archivio della Denuncia Individuale dell’Assicurato (DIA) contenente le anagrafiche di tutti i lavoratori assicurati e anche le polizze, dunque i rischi assicurati, modulati secondo la Tariffa dei Premi che distingue centinaia di lavorazioni, ben più aderenti alle reali mansioni dei lavoratori e delle lavoratrici. L’Inps attraverso l’archivio UNIEMENS possiede tutte le storie lavorative di quasi tutti i lavoratori, inclusi i contratti di lavoro e le mansioni, codificate queste secondo la ricchissima tassonomia ISTAT CP2011, compatibile con la International Standard Classification of Occupations (ISCO-08).

Probabilmente la giornata internazionale della donna sarebbe l’occasione adatta per chiedere a chi ci governa azioni concrete, piuttosto che generiche richieste di uguaglianza. Perché Inail e Inps non danno alle donne ciò di cui hanno bisogno per tutelarsi? I dati esistono, sarebbero facilmente accessibili e utilizzabili, perché allora non offrirli?