Perché ERGONOMIA ?

Il termine “ergonomia” deriva dalle parole greche érgon (lavoro) e ńomos (regola, legge) per auspicare un approccio al lavoro il più possibile ordinato e puntuale nella progettazione di ambienti, prodotti e processi.

Pertanto, l’ergonomia (come disciplina sistematicamente orientata) può offrire un contributo condiviso ed importante al mondo del lavoro, sia dal punto di vista scientifico, sia dal punto di vista metodologico. In particolare, nel porsi come strumento di impegno accademico e di innovazione tecnologica, va intesa come cultura dell’accoglienza e dell’integrazione; come ricerca di armonia, verità ed equità sociale; come appagamento e consapevolezza professionale e, infine, come risorsa per affrontare battaglie (anche aspre e complicate) a tutela di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Inoltre:

Cenni sull’evoluzione dell’ergonomia: alcuni passaggi temporali importanti

Anni 1940-1950

  • Negli USA, l’interazione con dispositivi ed attrezzature belliche, sposta l’attenzione sul loro imprescindibile e vitale adattamento all’uomo “funzionale”.
  • Ad Oxford (1949), in ambito accademico e multidisciplinare, nasce ufficialmente l’ergonomia la cui definizione fu ripresa dallo psicologo britannico F. Hywel Murrell per descrivere le linee guida da seguire nel design di prodotti, servizi da adeguare alle caratteristiche ed ai comportamenti dell’utente, all’interno del suo contesto operativo (nella fattispecie su aerei da combattimento).

Anni 1950-1960

  • Il decennio si distingue per il maggior rispetto, diffusamente avvertito, nei confronti delle caratteristiche e dei bisogni individuali.
  • Nel 1956 nasce negli Stati Uniti la Human Factors and Ergonomics Society per divulgare un’ergonomia efficacemente finalizzata alla progettazione di sistemi ed attrezzature da adattare a chi le utilizza.
  • Nel 1958 viene pubblicato in Francia “L’adaptation de la machine a l’homme” un testo di M. Faverge et al. che enfatizza l’importanza dell’interazione Uomo-Macchina, da considerare attraverso un approccio progettuale sistemico per adeguare postazioni, processi ed organizzazione del lavoro.

Anni 1960-1970

  • In Europa, si afferma il “principio di compatibilità” riferito ai collegamenti spontanei o “analogici” fra strumentazioni, dispositivi, display e attività cognitive dell’uomo (in particolare percezione, decisione, sfera emotiva).
  • Negli Stati Uniti, Donald Norman (psicologo e ingegnere statunitense) può considerarsi uno dei fondatori dell’ergonomia cognitiva, a sostegno di quel “principio di compatibilità” così importante nelle strategie di progettazione e come preludio dell’innovazione tecnologica sul lavoro.
  • In Italia, alla stregua di Donald Norman, Sebastiano Bagnara (docente universitario di ergonomia, membro e presidente di numerose società scientifiche nazionali ed internazionali) focalizza la sua attenzione sull’ergonomia cognitiva sottolineando che, nell’interazione tra l’uomo e gli altri elementi di un sistema, l’ergonomo professionista sa come applicare teorie, principi e metodi di progettazione finalizzati al benessere fisico e mentale dell’uomo per ottimizzare anche la qualità della sua performance e, di conseguenza, la produttività aziendale
  • Se in Europa la CECA avvia ricerche ed interventi ergonomici nei settori del carbone e dell’acciaio per migliorare le condizioni di benessere psicofisico ed igiene industriale, in Italia le prime tensioni sindacali fanno emergere la necessità di coinvolgere i lavoratori anche a fronte di problemi legati a “disagio organizzativo”, salute e morti bianche. Al riguardo, gli studi e le iniziative di Ivar Oddone (precursore autorevole della medicina del lavoro), hanno consentito di introdurre il concetto di “gruppo omogeneo” costituito di lavoratori esperti, in grado di conoscere e prevenire le possibili criticità su salute e sicurezza. Tutto ciò introduce il concetto di “non delega” a medici di fabbrica tradizionalmente “burocrati”, non sempre abituati ad interagire empaticamente con gli operai per capire e condividere vissuti reali ed esperienze dei lavoratori.
    • In questo decennio, si diffonde l’attenzione sulla centralità dell’uomo che interagisce con la tecnologia informatica. In parallelo, alle attività di ricerca accademica si aggiungono comparti produttivi di autovetture, elettronica, elettrodomestici, etc., con laboratori aziendali di ricerca e sperimentazione dedicati a “ergonomia di prodotto e progettazione” centrata sull’utilizzatore. Ciò significa affermare l’user-centered design come processo che focalizza l’attenzione sia sulla conoscenza degli utenti, sia sul loro specifico contesto durante tutto lo sviluppo del percorso progettuale. Ciò presuppone che il team multi ed interdisciplinare di progetto (costituito soprattutto di ingegneri, designers, esperti in scienze biomediche e psicosociali) sappia includere ed ascoltare anche stakeholders esperti e gli stessi utilizzatori di destinazione. Per quanto attiene ai successivi processi di monitoraggio e valutazione sarà così possibile verificare, nel lungo termine, se le aspettative/richieste progettuali sono state soddisfatte e/o quali feedback migliorativi, riconducibili ad esperienze sul campo, vanno considerati. In sintesi, per lo statunitense Donald Norman la user experience è come un “ombrello” che copre diverse aree di competenza e di cui occorre avere buona conoscenza teorica per consentire, nella pratica, l’utilizzo degli strumenti applicativi più opportuni. L’ergonomia viene intesa anche come plusvalore per gli aspetti di marketing (miglior qualità del prodotto/servizio offerto).

(fonte: Interaction Design Foundation)

  • Nel 1961 nasce a Roma la Società Italiana di Ergonomia (SIE). Nello stesso anno, si svolge a Stoccolma (Svezia) il primo meeting dell’Assemblea Generale dell’International Ergonomics Assciation (IEA) che ne formalizza la nascita e l’avvio regolare delle sue attività. Nel 1967, IEA diviene – a livello mondiale – l’Associazione delle Società federate.

Dagli anni 1980 ad oggi

  • Nel 1983 il francese Jean-Claude Sperandio pubblica un testo importante “La psicologia in ergonomia”, sostanzialmente fondato sulla comprensione del comportamento lavorativo (azione, gesto finale) che si confronta con il tipo di rappresentazione mentale che lo anticipa e lo sottende. Pertanto, la progettazione di interfacce fluide, con un alto livello di usabilità, consente al sistema cognitivo dell’uomo l’elaborazione delle informazioni percepite, da tradurre in corrette procedure operative.
  • Negli USA, Donald Norman riconferma decisamente l’importanza dell’ergonomia, ribadendo la centralità dell’uomo nel governare le nuove tecnologie hard e soft. Invita anche ad estendere i suoi campi d’interesse allo studio dei processi lavorativi e delle postazioni di lavoro, attraverso la loro adeguata progettazione e valutazione. Al riguardo, vengono auspicati approcci innovativi “di concezione” piuttosto che interventi correttivi ex post, per favorire precocemente l’adattabilità di prodotti/servizi agli utenti di destinazione.
  • In Europa, John R. Wilson & E. Nigel Corlett curano la prima edizione di un testo molto importante, dal punto di vista dell’applicabilità dell’ergonomia al mondo del lavoro: “Evaluation of Human Work – A Practical Ergonomics Methodology”, ed. Taylor & Francis, London, U.K., 1990.

– Contestualmente, in Europa, al fine di prevenire o ridurre il rischio di errori, infortuni, incidenti, intesi soprattutto come “disfunzioni di sistema” (da ricondurre al concorso di più variabili), lo psicologo statunitense James Reason conferma la validità di questo nuovo approccio alla gestione della sicurezza sul lavoro, attraverso ricerche sull’errore umano. Già nella prima edizione del suo libro più famoso: “Errore Umano” (1990), nel combinare la classificazione degli human errors con il noto modello SRK di J. Rasmussen (1986), sottolinea che per migliorare la sicurezza sul lavoro, è necessario ridurre la possibilità di errori e incidenti. Ancora oggi il testo continua ad essere citato come riferimento fondamentale in tutti i settori che richiedono l’analisi degli errori umani.

In ogni caso, per condurre correttamente tale analisi occorre operare non solo sulla dimensione tecnologica, ma anche su quegli aspetti che attengono al “fattore umano” da considerare come variabili di interfaccia fra i vari elementi presenti in una realtà lavorativa. Ciò significa curare la formazione del personale tecnico, la progettualità delle interfacce uomo-macchina ed i rapporti uomo-uomo, uomo-ambiente e uomo-software. Anche l’organizzazione del lavoro è fondamentale perché, a fronte di un incidente, diagnosticato spesso come causato da una persona che opera in front-line, è plausibile ed opportuno considerare che un errore può essere innescato anche da procedure organizzative con criticità latenti.  Al riguardo e come esempio interessante per gli ergonomi, il modello SHEL di Elvin Edwards (pensato inizialmente per l’aeronautica) può supportare un utile ed applicabile metodo di conoscenza/valutazione di concause determinate dalla presenza e dal rapporto fra più variabili: Software, Hardware, Environment, Liveware-fattore umano che evidenziano quanto diverse e complesse siano le interrelazioni e le interdipendenze presenti sul lavoro.

Nel 1986, Frank Hawkins aggiunge una L ad integrazione del rapporto fra liveware-fattore umano, in posizione centrale (front line) e liveware-fattore umano in periferia, a rappresentare altre funzioni o ruoli (addetti a comunicazione, supervisione, controllo) presenti nello stesso contesto. Il metodo può essere considerato fruibile ed applicabile in ambito ergonomico per la sua vocazione a considerare il fenomeno dell’errore attraverso un approccio sistemico, multi ed inter-fattoriale.

Secondo Hawkins la progettazione di interfacce, adeguate alle caratteristiche sensoriali dell’uomo, deve soddisfare anche la necessità di trattare altre problematiche. In tal senso, si raccomanda di: a) non cercare soluzioni facili (l’ergonomia gestisce la complessità); b) implementare strategie di valutazione articolate (l’ergonomia rispetta la specificità di ogni contesto lavorativo); c) valorizzare competenza comunicativa e consultazione interna (l’ergonomia è partecipazione); valutare operatività e sicurezza del sistema, utilizzando anche lo “studio di casi” (l’ergonomia va applicata e situata).

– Nello stesso periodo, all’esigenza di applicare concretamente l’ergonomia a livello aziendale risponde anche ILO (International Labour Office -Ginevra) con la prima e seconda edizione di un manuale interessante (preparato in collaborazione con IEA): “Ergonomic Checkpoints – Practical and easy-to- implement solutions for improving safety, health and working conditions”, 1996, 1999.

  • Infine, un richiamo doveroso all’Ing. Alphonse Chapanis (1917-2002). Pioniere nell’applicare la psicologia alla progettualità ingegneristica, è stato Presidente della Society of Engineering Psychologists e della Human Factors Society ed è considerato “padre” dell’ergonomia.

  • In prospettiva storica, Chapanis è stato determinante nel creare interazioni fra ingegneria e human factors (sinonimo di ergonomia), già a partire dal loro periodo di gestazione (durante la seconda guerra mondiale) fino agli anni ’80. Pertanto, gli va riconosciuto il merito di essere stato fra i primi studiosi ad affermare la necessità di tener conto delle caratteristiche sensoriali, cognitive e comportamentali dell’uomo nel contesto della progettazione di sistemi e dell’innovazione tecnologica.

L’attuale scenario nazionale ed internazionale

Nel ventunesimo secolo, viene dato come esempio di INNOVAZIONE (a livello di Industria 4.0) l’interesse ingegneristico non solo per la MACCHINA ma anche per la PERSONA, orientando l’attenzione su:

• Sviluppo sostenibile
• Partecipazione attiva ed ingegneria collaborativa
• Impatto delle tecnologie sugli esseri umani e sulla società
• Riconfigurazione progettuale basata su pratiche centrate sull’uomo
• Conoscenza e soddisfazione dei bisogni dell’utenza per apportare un contributo al progresso umano e sociale.

Contestualmente, sia in ambito accademico che all’interno di filiere industriali complesse, il concetto di innovazione presuppone che il LAVORO non vada pensato solo per regolare procedure già consolidate in un sistema organizzato ma anche in termini di mobilitazione creativa dell’intelligenza, per capire ed accogliere il dinamismo dei nuovi apporti tecnologici ed informatici. L’innovazione può essere così avviata in un ordine non lineare, attraverso processi o sotto-processi che includono, ad esempio, ricerche di laboratorio finalizzate alla virtualizzazione di prodotti, processi e contesti, da esplorare grazie al digitale. Tale approccio è considerato più efficace se fondato su principi e potenzialità che ne costituiscono l’architettura generale. In particolare: collaborazione, intelligenza strategica, risorse intellettuali, risorse finanziarie e, soprattutto, creatività ed idee delle persone, generate principalmente dalla disciplina del design thinking. Ciò presuppone un’approfondita conoscenza degli utenti di riferimento, da coinvolgere con rispetto nella valutazione della loro user experience, in grado di indicare feedback utili al miglioramento del loro vissuto lavorativo dal punto fisico e mentale.

Infine, è interessante segnalare l’importanza della normazione tecnica sull’Innovation Management. Al riguardo, la Rivista U&C pubblicata da UNI nel febbraio 2017, ha affrontato questa tematica con l’obiettivo di fornire un quadro, il più possibile coerente e contestualizzato, di quanto sin qui acquisito a vari livelli normativi CEN e ISO, nonché di quanto è lecito attendersi nel prossimo futuro sul tema dell’Innovazione Tecnologica. In particolare, un Working Group ISO è attualmente impegnato nello studio di metodi e strumenti da proporre nei contesti aziendali per sollecitare, nella pratica, creatività e generazione di idee finalizzate a progettazioni innovative.

L’ergonomia richiede il coinvolgimento in azienda di tre aree di competenza

Posto che l’approccio sistemico al lavoro presuppone la convergenza di più discipline, l’ergonomia si basa fondamentalmente su competenze biomediche, politecniche e psicosociali applicate, nel tempo, da tante personalità scientifiche che hanno saputo anteporre al loro specifico interesse accademico il cosiddetto “fattore umano”. La loro peculiarità consiste nell’aver compreso quanto sia utile, sul lavoro, rapportarsi con altre competenze ed attitudini per affermare una visione olistica di benessere psicofisico e sicurezza.

Nell’ambito dell’AREA BIOMEDICA,
l’ergonomia è particolarmente interessata alla biomeccanica ed all’antropometria per problemi di movimento, postura e rischi conseguenti legati all’apparato muscoloscheletrico

A partire dal XVII secolo, la teoria meccanica applicata al corpo umano (inteso come sistema biologico e struttura fisiologica sottoposta a sollecitazioni statiche e dinamiche) ha subito importanti evoluzioni attraverso il successivo progresso della biomeccanica. Ciò è accaduto con studi sul controllo motorio interessato all’apprendimento di movimenti e posture che chiamano in causa aspetti cognitivi ed aspetti ambientali. Al riguardo vanno ricordate:

Le teorie dei programmi motori (Wilson, 1961; Keele, 1968; Grillner, 1981) basate su transfer di apprendimento, focalizzato sulle affinità esistenti fra meccanismi percettivo/cognitivi e meccanismi senso-motori, in grado di attivare le rappresentazioni mentali che preparano i “gesti lavorativi” più adeguati e sicuri.

Le teorie ecologiche (Gibson, 1966) che sottolineano l’importanza dell’ambiente che, nello svolgimento di un’azione fornisce informazioni specifiche ed utili all’apprendimento del processo senso-motorio, al fine di semplificare il normale ciclo “percezione-rappresentazione mentale-movimento”. 

In Italia, per l’impegno accademico e la promozione dell’ergonomia della postura e del movimento, si è distinta la figura di Antonio Grieco (1932-2003) che, fra i suoi tanti meriti ha contribuito allo sviluppo della Medicina del Lavoro a livello territoriale, nazionale ed internazionale. I suoi interessi prevalenti per il rischio biomeccanico lo vedono fra i fondatori dell’EPM-Unità di Ricerca della Postura e del Movimento (1985) e della CIIP-Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione (1990) con una visione ampia e lungimirante di salute e sicurezza. Infatti, studiando con Bruno Maggi cause meno dirette o evidenti di rischi e disagi lavorativi, ha individuato i rischi legati a “situazioni di costrittività organizzativa” che ricorrono in presenza di incongruenze strategiche e/o procedurali a livello di scelte operative, da analizzare e riprogettare in ottica ergonomica.

Nell’ambito dell’AREA POLITECNICA
(ingegneria, architettura, design),
l’ergonomia fornisce conoscenze di base sia sulle caratteristiche e capacità umane, sia su metodi e strumenti adatti a valutare ed interpretare bisogni e aspettative delle persone

Al centro dell’attenzione sono lo studio e il progetto del rapporto tra utente e sistema, durante le attività di lavoro e di vita quotidiana. Campi di intervento sono ambiente, territorio, luoghi e postazioni di lavoro, prodotti d’uso, prodotti d’arredo, design della comunicazione e design dei servizi.

In Italia, la figura dell’Ing. Adriano Olivetti (1901-1960) è certamente emblematica per la sua concezione antropocentrica della fabbrica, dell’ambiente e del territorio. Non è stato soltanto un industriale ma anche un intellettuale, un urbanista ed un editore. Fra i primi a capire che le logiche e i successi dell’impresa non possono essere disgiunti da un progetto sociale, capace di mettere l’uomo al centro dell’attenzione, ha voluto interpretare l’ergonomia anche come cultura di accoglienza e integrazione, dichiarando pubblicamente:

“Voglio anche ricordare come in questa fabbrica, in questi anni, non abbiamo mai chiesto a nessuno a quale religione credesse, in quale partito militasse o, ancora, da quale regione d’Italia egli e la sua famiglia provenissero”

Adriano Olivetti, attento agli aspetti psicosociali del lavoro, ha sempre sostenuto che l’incremento della produttività fosse strettamente legato alla motivazione e partecipazione del lavoratore alla vita dell’azienda, attraverso un modello strategico- operativo (al tempo criticato da molti come contrario ad ogni logica economica).

Nell’ambito dell’Area delle SCIENZE PSICOSOCIALI,
l’ergonomia è interessata soprattutto ai contributi della psicologia (benessere organizzativo, lavoro mentale, interazioni sociali, flusso d’informazioni da trattare) e della sociologia (influenze del macrocontesto politico-sociale ed economico)

Psicologia ambientale e psicologia del lavoro studiano i significati funzionali ed espressivi di una “situazione globale”, per valutare la presenza di un clima armonico e la sensazione di benessere psicofisico. Nell’analizzare la struttura dei compiti lavorativi e la programmazione delle procedure, viene fatto ricorso anche alla psicofisiologia del lavoro, per valutare (attraverso biosensori) la qualità dell’interazione Uomo-Macchina attraverso l’uso di strumenti e display adeguati. L’attivazione sensoriale e motoria così rilevata dovrebbe far emergere il rispetto dei limiti naturali (di soglia), al di là dei quali l’uomo rischierebbe sia la sua condizione di benessere (stress psicofisico), sia la sicurezza dei suoi comportamenti/gesti lavorativi (rischio di errori/incidenti).

La psicologia sociale, gestisce le dinamiche presenti nel lavoro di gruppo, attraverso gli straordinari contributi negli anni 1930-40 di Kurt Lewin, considerato il “padre” della psicologia sociale, per la sua visione sistemica del contesto di vita e di lavoro; per aver sostenuto l’importanza del supporto sociale, della competenza comunicativa e degli aspetti relazionali (dinamiche di gruppo).

Infine, nel panorama italiano, merita un doveroso approfondimento la figura del medico e psicologo Francesco Novara (1923-2009. Direttore del Centro di Psicologia dell’Olivetti ad Ivrea e considerato l’anima dell’Azienda ne ha saputo recepire, elaborare e gestire gli aspetti emozionali ovunque affiorassero. Nell’esprimere l’essenza del suo pensiero sull’organizzazione del lavoro, affrontata attraverso un approccio scientifico, supportato dall’autorevole razionalità del sociologo del lavoro Luciano Gallino, le riflessioni di Francesco Novara convergono soprattutto sulla necessità di “liberare il lavoro”. Ciò significa pensare ad un’organizzazione non costrittiva che consenta all’uomo di capirlo e farlo proprio. Soltanto favorendo l’esistenza individuale “creativa” (da vivere anche nel tempo libero) sarà possibile produrre effetti importanti anche sull’esistenza collettiva.